lunedì 9 ottobre 2017

LA SPAGNA E CUBA

Risultati immagini per ambasciata spagna a l'Avanan

In questi giorni la Spagna e' tornata agli onori della cronaca per il tentativo di secessione catalano, che difficilmente andra' a buon fine.
Dico questo perche' la storia e' un libro aperto, raramente racconta frottole.
Gli iberici, colonizzando buona parte del Sud America hanno prima massacrato, ovviamente con la consueta benedizione papale, gli abitanti nativi; Incas, Maya, Atzechi o Taino che siano.
Successivamente hanno sfruttato all'inverosimile le risorse naturali di quelle terre utilizzando, in qualita' di schiavi, la manodopera che giungeva sulle navi negriere (spagnole) nelle coste sudamericane.
Per riuscire a liberarsi di queste sanguisughe e dei loro baciapile ci sono volute guerre su guerre, massacri, eccidi, eroi e martiri.
Gli spagnoli sono come quei cani che per mollare l'osso devi strattonare per tutto il tempo necessario.
A Cuba ci sono volute prima 2 guerre di indipendenza, poi gli americani che offrirono, invano, 100 milioni di dollari alla corona per acquistare l'isola, infine una guerra ispano-americana che li caccio' definitivamente dall'isola.
La stessa cosa e' accaduta in Argentina, Uruguay, Peru', Venezuela, Bolivia, Ecquador ecc....
Non c'era verso di toglierseli dai coglioni.
Sono perfino rimasti arroccati in 2 scogli nell'estremita' piu' settentrionale del nord Africa ;Ceuta e Medina.
Divisi dal resto dell'Africa da alti muri sono, ogni giorno, presi di mira da migliaia di migranti, consapevoli che, oltre quel muro c'e' l'Europa e non piu' l'Africa.
Il governo spagnolo spende, per la sicurezza di quei due piccoli lembi di terra, fior di quattrini senza ricavarne nulla, ma di mollarli non se ne parla.
Per non parlare della rocca di Gibilterra che, da secoli, la corona vorrebbe riportare sotto il proprio controllo.
Quali sono i segni, a Cuba, del passaggio spagnolo?
La lingua innanzi tutto, anche se la lingua della calle cubana e' lontana parente di quella spagnola, visto l'imbastardimento della stessa dovuto alla vicinanza del grande paese, a 90 miglia dalle proprie coste.
Qualcosa di cibo....forse il congri' anche e credo che sia piu' un retaggio africano.
La paella, ad esempio, la si trova solo in qualche paladar e non si puo' dire che sia un piatto della cultura cubana, probabilmente per la difficolta' di reperire il pesce.
I tamal, forse, sono figli di qualche antico retaggio culinario iberico, ma anche di questo non sono del tutto sicuro.
Il sistema giuridico cubano risente del breve periodo di dominazione britannica, direi piu' che altro che e' stato plasmato ad uso e consumo della attuale forma di governo che vede spesso le parti in causa....dalla stessa parte della barricata, non dovrebbe essere cosi'.
L'ambasciata di Spagna a La Habana e' nel cuore della citta' e non insieme alle altre a diversi km dal centro cittadino.
In molte citta' resiste l'architettura coloniale spagnola; molti quartieri dell'Avana sono stati costruiti secondo la toponomastica delle classiche citta' spagnole.
Trinidad e' sicuramente l'esempio di questo retaggio culturale ed architettonico, ma direi anche Santiago de Cuba cosi' come Camaguey.
A Las Tunas i colonizzatori spagnoli hanno sempre trovato lungo, visto che il detto che si legge sui muri del boulevar centrale parla di una citta che ha preferito bruciarsi da sola, piuttosto che tornare ad essere schiava degli spagnoli.
Poi certo, tante chiese.
Mentre gli inglesi hanno esportato nel mondo il loro ottimo sistema giuridico che, e' bene sempre ricordarlo, si basa sul diritto romano che arrivo' in Britannia al seguito delle Legioni dell'Impero Romano, gli spagnoli hanno esportato quella vergogna storica che e' stata la “Santa” inquisizione e la tendenza a costruire una chiesa ogni 50 metri di territorio finito disgraziatamente sotto la loro inutile corona.
Insomma, a conti fatti la Spagna e' servita a ben poco e poi....io sarei ancora MOLTO incazzato per il mondiale che hanno fregato a Valentino....

21 commenti:

  1. Se ti dico 13 dicembre ti viene in mente qualcosa???
    :)

    Simone M&S

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  2. di Geraldina Colotti*

    Provate a entrare in un carcere italiano senza autorizzazione del Ministero di Giustizia. In caso riusciate a ottenerla, dovrete lasciare in custodia tutti gli oggetti non consentiti (praticamente potrete portare solo i vestiti, dopo essere stati accuratamente perquisiti...). Se siete giornalisti, avrete bisogno di un permesso specifico, soprattutto per far entrare apparecchi fotografici e microfoni.
    A nessuno verrebbe in mente di considerare i controlli, anche quelli più accurati e occhiuti, come “una violazione della libertà di stampa”. Ma, evidentemente, questo non vale per il Venezuela bolivariano. Farnesina e Federazione nazionale della stampa (Fnsi) hanno ripreso i titoli dei giornali venezuelani di opposizione per il fermo di due italiani – collaboratori de Il Giornale e de Il Fatto – e di un reporter grafico del sito Dolar Today... Tentavano – si apprende – di entrare nel carcere di Tocoron, nello Stato Aragua.
    Secondo il sito di opposizione El Nacional che riprende il comunicato dell'Unione Nazionale dei Lavoratori della Stampa (Sntp), cercavano di portare all'interno gli oggetti che vedete nella foto diffusa in twitter da Sntp: una bottiglia di vino, un coltello, macchine fotografiche, vari cellulari ultimo modello...
    “ALERTA! Dictadura de Maduro secuestra a reportero gráfico Jesús Medina y 2 corresponsales europeos”, titola il sito Dolar Today.
    Per chi non lo sapesse, Dolar Today è il sito che intossica l'economia venezuelana con le tariffe del dollaro parallelo, quello del mercato nero, illegale in un paese la cui moneta ufficiale è il bolivar. E' probabilmente basato a Miami, dove hanno trovato asilo stragisti, golpisti e truffatori, senza che nessuno strepiti perché vengano rispediti in patria, a Cuba o in Venezuela...
    Contemporaneamente, i media italiani danno spazio al convegno che si è tenuto a Pistoia con il titolo “Democrazia e diritti in Sudamerica: il dramma del Venezuela”.
    Il gioco è sempre il medesimo.
    Ogni volta che il socialismo bolivariano riesce a uscire dall'angolo e rilancia, piazzando qualche mossa, parte la grancassa mediatica. L'Assemblea nazionale costituente riesce a disinnescare la violenza? Ci vuole una bordata. Rajoy in Spagna reprime i manifestanti pro-referendum in Catalogna? “Noi stiamo con la Spagna”, dichiara Casini dicendosi preoccupato per la democrazia... in Venezuela, dove il chavismo si avvia a celebrare la 22ma elezione in 18 anni, quella per i governatori.
    In ballo c'è il potere del dollaro e la mossa di Maduro per contrastare il blocco economico-finanziario imposto da Trump e suoi alleati: immettendo altre monete forti nel mercato. L'intervista a Maduro, realizzata a Mosca dal giornalista Ryan Chilcote e pubblicata sul Correo del Orinoco di oggi (domenica 8 ottobre) dà conto della portata dei problemi. Maduro ha risposto alle domande a margine del VI Vertice mondiale dell'energia (Ponencia petroleo y geopolitica: causas y consecuencias), che si è svolto in Russia il 4 ottobre alla presenza dei capi di Stato dei paesi petroliferi e di molti imprenditori del settore.
    E per chi volesse vedere da vicino che tipo di "democrazia" propongono le destre venezuelane, si può utilizzare una fonte diretta: una delle loro, la giornalista Patricia Poleo, antichavista doc, che trasmette da Miami. Su You Tube (Patricia Poleo arremete contra su amigo Carlos Ocariz) la si vede inveire - per una volta a ragione - contro il candidato delle destre alla governazione di Miranda, Carlos Ocariz. Qualcuno, infatti, ha captato e diffuso una conversazione su Whatsapp in cui Ocariz si prodiga in considerazioni razziste contro i colombiani residenti in Venezuela e contro gli operai e i "negri che puzzano" e che ha dovuto sopportare durante uno dei suoi comizi in cui dovuto andare a caccia di voti nei quartieri popolari. "Non voterei mai per uno come lui", dice la sua ex amica.

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    1. Roberto Di Matteo, il giornalista italiano in carcere in Venezuela è stato rilasciato dalle autorità. Lo ha reso noto l’unione l’l’Sntp (Sindicato Nacional de Trabajadores de la Prensa), prima che arrivassero la conferma del viceministro degli Esteri Giro e del padre del giornalista. Insieme a lui sono tornati in libertà anche il collega svizzero Filippo Rossi e il venezuelano Jesus Medina.
      La Guardia Nazionale Bolivariana lo aveva fermato e arrestato mentre cercava di entrare nel carcere di Tocoron. Insieme allo svizzero Filippo Rossi e al venezuelano Jesus Medina, il videoreporter italiano voleva realizzare un’inchiesta sul penitenziario dello Stato venezuelano di Aragua, dove la violenza è quotidiana e il controllo delle guardie carcerarie scarso. Le autorità non hanno gradito e tutti sono finiti a loro volta dentro.
      Ieri era stata alta la preoccupazione in Italia, anche perché il regime del presidente Nicola Maduro non è tenero con la stampa e nell’ultimo anno - ha denunciato la Sociedad Interamericana de Prensa (SIP) - intimidazioni e arresti arbitrari contro i giornalisti sono aumentati. Tra l’altro, il collega venezuelano di Roberto è un fotoreporter del sito antigovernativo DolarToday e i tre avevano, a quanto riportato, un’autorizzazione per entrare nella prigione di Tocoron.
      Oggi, al termine dell’udienza preliminare per la convalida dell’arresto, Di Matteo è stato liberato. «Abbiamo seguito la vicenda tramite la nostra ambasciata - è il commento del ministro degli Esteri Angelino Alfano - e il nostro consolato generale a Caracas con la massima attenzione e per noi questa è una buona notizia».

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  3. Molto è dipeso dal tipo di governo del momento in Spagna. Giuseppe

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    1. Sicuramente con Gonzales e Zapatero e' andata meglio che con Aznar e Rajoy.

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  4. hola! dominazione inutile che ha solo pensato a sfruttare con ritorni nell'immediato scudati dalla più grande e dannosa mafia esistente sulla terra ovvero la chiesa cattolica che con la scusa de la evangelizacion ha sterminato e schiavizzato. La cosa bella che hanno lasciato a Cuba è la massiccia presenza di blanquitos ( caso unico nella zona caribeña) y las mulatas. Ed è stata l'ultima colonia ad essere mollata in quanto la più ricca e strategica. chao Enrico

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    1. Spagnoli e francesi li si e' dovuti letteralmente buttare fuori dalle loro colonie mentre inglesi e olandesi, alle prime avvisaglie di casini, hanno tirato via le tende.

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    2. specie gli inglesi non pensavano solo a sfruttare selvaggiamente le zone occupate ma Vi costruivano anche infrastrutture ed in generale tolleravano usi e costumi delle popolazioni,modi diversi di fare colonialismo
      Buon inizio settimana a tutti
      Andrea M.

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    3. Appena hanno annusato i problemi in India hanno alzato i tacchi.

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  5. Concordo in pieno su tutto ,quello che storicamente hanno fatto gli spagnoli nelle colonie e' vergognoso ,andando fuori tema mi sento però di dire che oggi in Spagna si vive meglio che in Italia,non c'è paragone sulla qualità del trasporto pubblico per esempio,gli stipendi sono leggermente più alti a parità di lavoro ed il costo della vita assai più basso in particolare riguardo i beni di prima necessità ,oggi anche la Spagna è un paese migliore del nostro purtroppo
    Andrea M.

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    1. Io lavoro in un hotel,a parità di mansione e qualifiche in Spagna prendo 150 euro in meno che in Italia. Vero che certe cose costano di meno,ma quasi solo nel sud della Spagna ed Estremadura perché Paesi Baschi e le grandi città sono care. Pablo

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  6. Grazie anche ai gran soldi presi dall'Europa...
    Il problema non è cosa fa la Spagna in casa sua ma le porcheria fatte altrove.

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  7. Ti devo correggere....non e' medina ma melilla...

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  8. VERO....
    Lorenzo Pisoni
    Ceuta e Melilla, rispettivamente 74.000 e 68.000 abitanti, sono due città spagnole situate nel Nord-Africa, circondate dal Marocco, situate sulla costa del mar Mediterraneo vicino allo stretto di Gibilterra. 
    Per i migranti provenienti dall'Africa sub-sahariana, Ceuta e Melilla hanno rappresentato per tutti gli anni Novanta del XX secolo le porte d'ingresso per la Spagna e l'Unione europea. Per questo le due città sono state separate dal territorio marocchino da una doppia rete metallica alta inizialmente tre metri e poi raddoppiata a sei, lunga 9,7 km intorno a Ceuta e 8,2 km a Melilla, costruite rispettivamente nel 1997 nel 1998. Nell'estate e nell’autunno del 2005 si registrarono massicci assalti alle reti. 
    La storia delle due enclave spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco è molto variegata. I Fenici cominciarono installando una colonia commerciale a Melilla, chiamata allora Rusaddir, mentre i Greci occuparono Ceuta. Più tardi le due città, ognuna delle quali è dotata di un porto naturale, cadranno a volte nelle mani dei Romani e a volte dei Cartaginesi, durante le guerre puniche. Vi si installarono poi  i Romani, e le battezzarono con nomi latini: Septem Frates per Ceuta e Flavia per Melilla.
    Alla caduta dell’impero romano, i Vandali di Genserico trasformarono Ceuta in una piazzaforte dell’impero bizantino, poi le due città passarono sotto l’influenza dei Visigoti. E quando i musulmani si lanciarono alla conquista della Penisola Iberica, Ceuta servì loro da trampolino, e di  Melilla, o “Mlila”, i conquistatori arabi ne faranno un punto di partenza per le truppe berbere da inviare a Al-Andalus. Melilla passerà da un califfato ad un altro, fino a quando non sarà occupata dalle truppe spagnole del duca di Medina Sidonia, comandate da Pedro de Estopinan e Francisco Ramirez di Madrid  (1497).
    Ceuta, passata  da una occupazione ad un'altra, scelse la Spagna quando questa si separò dal Portogallo (1640). Da quel momento, gli Spagnoli sono riusciti a mantenere sempre Ceuta e Melilla.
    Uno dei più vigorosi sultani alaouiti, Moulay Ismail, che era riuscito a strappare agli inglesi e agli spagnoli le città di Tangeri, Larache e Asilah, pose sotto assedio Ceuta per un quarto di secolo (1699-1724). Invano. Uno dei suoi successori, Mohammed II, tentò a sua volta di riprendere Melilla nel 1775, ma senza maggiore successo.

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  9. Sottoposte da allora a implacabili assedi da parte delle tribù vicine, le due città si attrezzarono a resistere agli attacchi. Trasformate in presidi spagnoli Ceuta e Melilla riuscirono sempre a resistere agli assalti. 
    Nel 1995, lo Stato spagnolo  accordò a Ceuta (19 km quadrati) e Melilla (12,3 km quadrati) lo statuto di autonomia. In altri termini, i due ex presidi diventano delle entità territoriali, dotate di autonomia legislativa e di larghe competenze esecutive. Nel 2002 l’intervento dell’esercito spagnolo per allontanare le unità delle forze dell’ordine marocchine che si erano impossessate dell’isola Leila costituì un segnale chiaro per il Marocco: la Spagna non voleva lasciarsi sfuggire le due città che occupava da tanti secoli, nelle quali è però cresciuta la popolazione musulmana.
    Secondo i dati dell’Istituto spagnolo di statistica, nel 2008 il 34% dei nuovi nati a Melilla aveva una madre musulmana (un po’ più di un secolo prima, figurava un solo musulmano, un cameriere originario di Casablanca, nei registri della Municipalità di Melilla). Così il tasso di fecondità a Ceuta e Melilla, con una media di 4,5 figli per donna, risultava largamente superiore a quello della Spagna (1,4 figli), ma anche a quello del Marocco (2,5 figli). E sul totale  degli  abitanti di Melilla, più della metà (37.000) sono musulmani. Quanto a Ceuta, la percentuale della popolazione musulmana è del 41% in una città. 
    Nel 2005, un reportage del quotidiano spagnolo El Pais ha citato un rapporto elaborato dal Centro nazionale di intelligence (CNI), che pronostica una schiacciante maggioranza di abitanti musulmani nelle due enclave entro il 2020. Lo stesso rapporto segnalava tuttavia che solo il 10% dei residenti musulmani delle due città sono filo-marocchini, mentre il 40% restano legati alla Corona spagnola. Un segnale incoraggiante per gli Spagnoli.
    Ancora oggi le due città mantengono l’aspetto di città europee, anche se a pochi passi il Marocco rappresenta tutto un altro ambiente.

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  10. francesco olivo
    inviato a barcellona

    Non passa un minuto senza che arrivi un appello: «Presidente si fermi». La Spagna e l’Europa guardano con ansia al parlamento catalano. Qui, oggi pomeriggio, il capo della Generalitat, Carles Puigdemont, dovrà dire cosa vuol fare di quei due milioni di voti del referendum: usarli per dichiarare l’indipendenza della Catalogna o metterli sul tavolo per una trattativa con la Spagna. In tanti gli chiedono di frenare, ultimi il segretario socialista Pedro Sanchez («in caso di secessione staremo con il governo») e la sindaca di Barcellona, Ada Colau («non dinamitare i ponti»).
    Le conseguenze di quella che, forse per paura di pronunciarne il nome, qui chiamano tutti «Dui» (dichiarazione unilaterale di indipendenza) sono incalcolabili: il premier spagnolo Rajoy non dice esattamente cosa farà, ma stavolta l’immobilismo che lo ha reso celebre e vincente, non sarà la cifra. Due sono gli articoli della Costituzione in ballo: il 155, sospensione parziale dell’autonomia regionale, oppure il più impegnativo 116, uno «stato d’emergenza» che potrebbe prevedere anche l’utilizzo dei militari. Nel Partito popolare i toni sono durissimi, il dirigente Pablo Casado è arrivato a evocare le tragedie del passato: «Puigdemont non faccia come Companys», ovvero il presidente della Generalitat che proclamò l’indipendenza nel 1934, fu arrestato dalla Repubblica spagnola e poi fucilato sul Montjuic da Franco nel ’40.
    Ma Puigdemont riceve minacce e pressioni anche nel suo campo. La voce, sempre più forte, di una dichiarazione in parlamento senza conseguenze pratiche, agita l’ala dura dell’indipendentismo. Si parla di una «Dui» che sposti a sei mesi l’entrata in vigore della legge di transitorietà, viene posto come esempio il modello sloveno (Lubiana votò nel 1990 e poi attese di essere riconosciuta dai Paesi europei). Ma la via dell’indipendenza progressiva, con la previsione di avviare un processo costituente, non accontenta né i secessionisti, né il governo spagnolo («Non ci possono dire che infrangeranno la legge fra sei mesi»). La Cup, movimento dell’ultra sinistra, teme che l’oste metta acqua al vino: «L’indipendenza è o non è». «Ci sarà la Dui», conferma Esquerra Repubblicana, il partito del vicepresidente catalano, Oriol Junqueres. Ma l’assedio non è soltanto a parole, oggi il parlamento verrà circondato da una manifestazione convocata dagli indipendentisti e un’altra degli unionisti, circostanza che crea inquietudine, anche fisica, nei parlamentari dell’opposizione (i socialisti stanno cercando un bus scortato).
    L’incertezza regnerà fino all’intervento del presidente in Parlamento previsto per le 18. In teoria, si tratta solo di un dibattito, senza voto. Ma l’opposizione teme il colpo di mano, anche per la complicità con il governo della presidente dell’assemblea Carme Forcadell.
    L’ansia che si vive in città aumenta. Ad aggravarla è la lista sempre più lunga delle aziende che spostano la propria sede fuori dalla Catalogna, al riparo da pericolose avventure: ieri è stato il turno di Abertis, il gruppo che controlla le autostrade, oggetto di attenzioni da parte dell’italiana Atlantia (oggi il via libera della Consob spagnola). In attesa della fine della trattativa, Abertis fugge a Madrid. Cattive notizie anche dall’estero: «Non riconosceremo una Catalogna indipendente», ha dichiarato il ministro francese degli Affari europei Nathalie Loiseau. Sul palazzo della Generalitat continua a volare, molto basso, un elicottero della polizia, «domani finalmente atterra» dice qualcuno.

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  11. Santa Fè- Ore decisive per il pueblo catalano, purtroppo mi sento di dire che Puigdemont comunque andrà a finire troverà grandi problemi, una fetta vicino al 50% non è separatista e attendono un passo indietro, invece coloro che hanno lottato per l'indipendentzia non POSSONO più tornare indietro, rinunciare ora vorrebe dire arrendersi a Madrid e questo sarebbe letale per l'intera galassia separatista.
    Io non voglio una guerra civile e so che siamo molto vicini a qualcosa di simile, per cui spero che Puigdemont abbia il "coraggio" di far slittare la dichiarazione e non abbia timore di prendersi del tempo, sò che questo è probabilmente un suicidio politico ma tutti noi si sperava in una risposta meno dura da parte di Madrid..preso atto della forza in campo bisogna ragionare ragionare ragionare.

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    1. Bastava fare un referendum vincolante, vincevano i no e tutto restava nella normalita'.
      Quando pero' hai 2 idioti come Rajoy e il re allora si finisce cosi'.

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  12. Santa Fè- Parole sante, una prova di forza "arrivata dal cielo" per riabilitare due figure che fino a poco tempo fà erano in caduta libera come prestigio e fama..

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  13. Si parla di ipotesi Slovena.
    La Slovenia, unilateralmente nel 1990 dichiaro' la seccessione dalla Jugoslavia ma annuncio' che sarebbe stata operativa 6 mesi dopo.
    In questo modo la Catalunya puo chiedere e, forse, ottenere il benedetto referendum vincolante.
    Madrid sa bene che non puo' inviare i Tank sulle Ramblas...
    Per occupare militarmente la Catalunya ci vogliono 100 mila soldati e Madrid non li ha...senza contare che di quelli che ha perderebbe la componente catalana.

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