mercoledì 11 ottobre 2017

SPAGNOLI

 Risultati immagini per spagnoli a cuba

Visto che la penisola iberica si e' presa la scena in questi giorni dedico ai suoi spesso inutili abitanti ancora un'ultimo pezzo.
Pur essendo stata colonia spagnola, oppure proprio per questo, non si puo' certo dire che gli spagnoli siano particolarmente gettonati sull'isola che non c'e'.
Dal punto di vista commerciale molte sono le aziende spagnole che fanno affari con Cuba, sono arrivate per prime oppure gia' c'erano o forse avevano i giusti agganci.
Catene alberghiere, hotel, aziende che forniscono prodotti e materie prime, e' abbastanza lunga la lista delle imprese di Spagna che hanno a che fare con la nostra amata isola.
Il discorso sul turista spagnolo e' un tantino differente.
Come ricordo sempre al nostro Enrico quando tira in ballo gli italiani, anche per gli spagnoli non e' mai il caso di generalizzare, ma diciamo che il trend e' piu' o meno quello che vi vado ad esporre.
Cuba e' visitata da molti turisti spagnoli che pero' a differenza degli italiani, gli inglesi, i tedeschi e i canadesi non fanno mai gruppo fra di loro.
Il motivo e' piuttosto semplice, metti un navarro, un basco e un catalano allo stesso tavolo e ci vogliono 2 pattuglie della PNR per sedare la rissa.
Lo spagnolo non attira particolarmente l'occhio, solitamente veste abbastanza dimesso, direi anche piuttosto male.
Solo, forse, i franco canadesi, i piu' grossi zozzoni che frequentano l'isola, sono conciati peggio degli spagnoli.
Difficile vederli in giro per ristoranti e paladar, solitamente mangiano in casa, tirando sul prezzo.
Difficile anche vederli in discoteche e locali notturni, vista la loro propensione ad evitare i caimani che popolano le loro tasche.
Certo poi ci sono anche i brillanti, pochi.
A Tunas un paio di belle case, ma davvero belle, sono state costruite da spagnoli, ma si tratta di eccezioni che non fanno altro che confermare la regola.
I cubani li amano poco anche perche' i sudditi del Re tendono ad avere sempre un po' quell'atteggiamento tipico di chi...e' in visita alle colonie.
Sara' per la lingua in comune, sara' per misteriosi retaggi culturali ma ho sempre visto spagnoli non trattare benissimo i cubani.
A Las Tunas non ce ne sono tantissimi, ma ce ne sono.
Piu' che altro si tratta di personaggi che, pur vivendo all'interno del Regno, gradirebbero essere tutt'altra roba.
C'e' un discreto numero di baschi che fanno base a Tunas.
Enormi.
Il piu' piccolo e' 1.85 per 120 kg.
Se vuoi correre il rischio concreto di non vedere il giorno dopo hai solo una cosa da fare; chiamarli spagnoli.
Parlano fra loro ovviamente basco e si vede che fanno una certa fatica...mentale a passare allo spagnolo quando parlano coi cubani.
Conoscevo poi alcuni catalani di Barcellona che frequentavano la mia stessa casa de renta, spesso facevamo delle belle chiacchierate visto che conosco piuttosto bene Barcellona.
Un paio di loro ora girano nelle Filippine, uno si e' trasferito a Guantanamo e un'altro...non puo' entrare nel paese chissa' per quanto ancora, per una vicenda poco edificante di cui e' stato protagonista.
Un'altro spagnolo che conoscevo e' stato tenuto fuori dall'isola per un paio d'anni a causa di alcune foto di festini con fanciulle non del tutto vestite.
Il tipo viaggiava PRIMA esclusivamente in case illegali cercando di vivere molto sotto traccia.
Dopo i 2 anni di sospensione ora ha la sua brava casa de renta, la sua fidanzatina e viaggia schiscio che di piu' non si puo', pare che abbia imparato la lezione.
Pochi comunque gli iberici di Tunas, strano perche' si tratta di una terra “blanca” e loro non amano in modo particolare le variazioni cromatiche.
So, ad esempio, che frequentano molto Holguin, sicuramente piu' signorile del balcon sull'oriente cubano.
Molti se ne trovano a La Habana, noi di M&S mi pare che non ne abbiamo mai avuti come clienti, ma sicuramente esistono agenzie simili alle nostre anche da loro.

10 commenti:

  1. francesco olivo
    inviato a barcellona

    L’indipendenza della Catalogna è durata meno di un minuto. È il tempo trascorso tra la dichiarazione di secessione di Puigdemont e la precisazione successiva: «Gli effetti saranno sospesi per alcune settimane». Smarrimento generale tra deputati e militanti, pronti con il Cava, lo spumante catalano, da stappare in onore della Repubblica. E invece no: Puigdemont, il presidente indipendentista fin da bambino, ha deciso di frenare una macchina, che da due anni si lanciava in una corsa spericolata e senza una meta razionale. Niente secessione, seppur tra l’ambiguità delle circonlocuzioni e le tante incognite dei prossimi giorni. A confondere maggiormente le acque la dichiarazione di 72 deputati che si sono impegnati a portare avanti l’indipendenza.
    «Assumo il mandato del popolo perché la Catalogna si converta in uno Stato indipendente in forma di repubblica», aveva esordito Puigdemont, tra l’entusiasmo dei suoi. Un atteggiamento che poi si raffreddava, con la frase successiva: «Il governo e io stesso proponiamo che il Parlamento sospenda gli effetti della dichiarazione di indipendenza per avviare un processo di dialogo». È la via slovena (Lubiana aveva dichiarato l’addio alla Jugoslavia con un referendum nel ’90, ma l’aveva sospeso per sei mesi), in attesa di vedere se qualche mediazione possa prendere forma. Puigdemont, intanto, ha fatto appello all’Ue: «Chiedo che si dedichi a fondo alla questione e che si appelli ai valori fondamentali dell’unione».
    In tanti gli avevano chiesto di frenare e lui ha ceduto. Troppe le minacce, le banche che spostavano la sede, seguite dalle grandi aziende, hanno generato un panico che ha coinvolto anche ampi settori della società catalana che avevano creduto, e ancora credono, che il futuro sia lontano da Madrid. Lo spettro della fuga dei capitali, le voci, più o meno verificate, delle code agli sportelli dei bancomat e i conti correnti spostati in filiali di altre regioni hanno avuto la meglio. L’ansia generalizzata, insomma, è arrivata anche al presidente: «Tutti dobbiamo assumerci le nostre responsabilità per abbassare la tensione, non dobbiamo contribuire né con gesti, né con le parole ad aumentarla».
    Secondo il governo catalano, dopo aver così a lungo utilizzato la parola «dialogo», era giusto mostrare un gesto concreto. Noi ci siamo fermati, si ragiona al Palau della Generalitat, ora la palla passa a Madrid, «se anche davanti a questo vanno avanti con la repressione, siamo pronti a dichiarare l’indipendenza in pochi giorni».
    È stata una giornata lunga per Puigdemont e il suo volto non lo mascherava. Riunioni, incontri, telefonate e ancora tanti appelli.

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  2. Finito il Consiglio dei ministri (la Generalitat già opera di fatto come uno Stato) un esponente del partito di Convergencia si confida: «Non ci sarà una dichiarazione esplicita». L’ottimismo delle colombe, dopo che nella nottata precedente i duri già montavano i palchi per la festa, sembra giustificato. Nel primo pomeriggio, le associazioni della società civile indipendentista, ormai diventate potentissime, venivano contattate dal governo: l’urgenza è di preparare la piazza a un’eventuale frustrazione. «La Repubblica ci sarà, ma non segnatevi la data del 10 ottobre» è il messaggio fatto arrivare al popolo del referendum.
    I guai per Puigdemont non sono fuori, ma dentro il parlamento. Il discorso storico del «president» è scritto, i concetti chiave sono fissati da almeno due giorni, ma i deputati della Cup, l’ultra sinistra indipendentista decisiva per la maggioranza, ne scoprono il contenuto solo pochi minuti prima delle 18, ora fissata per l’inizio della seduta. I «cuperos», poco inclini alla disciplina, sono una furia: «Così non entriamo nemmeno in aula». Scoppia il caos, «non si può governare con i comunisti», scherza un parlamentare del partito di governo. Serve un’ora di sospensione per convincerli a occupare i seggi. Poi, alle sette passate, la Cup rientra in aula, senza applaudire l’intervento di Puigdemont. Quando tocca alla leader del gruppo, Ana Gabriel, i toni sono delusi (ma non feroci): «Peccato, avremmo dovuto proclamare subito la Repubblica». Prima di lei era intervenuta Ines Arrimadas la leader di Ciudadanos, spiazzata anche lei dalla frenata del nemico, «lei rappresenta il peggio del nazionalismo europeo» dice a Puigdemont, ma sembra un discorso scritto a prescindere della novità. Più ironiche le parole di Miquel Iceta, segretario dei socialisti catalani: «Come fa a sospendere una dichiarazione che non ha fatto?». Risate anche tra i banchi della maggioranza. Ma la vera vincitrice di giornata è Ada Colau, la sindaca di Barcellona che, dopo aver partecipato al referendum, aveva chiesto a Puigdemont di «non dinamitare i ponti». Niente mine, in effetti, ma vediamo se qualcuno li percorre.

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  3. Tutto cio' accade a Barcellona...incredibile. Giuseppe

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  4. Non dimentichiamo che e' la seconda citta' di italiani fuori dall'Italia dopo New York.
    Comunque dopo l'indegna rissa di ieri nel nostro parlamento...avercene di leader come il Catalano...

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  5. hola! é vero tendenzialmente gli abitanti della ex madre patria sono tacaños e quindi non molto amati da la calle, però sempre meno payasos degli itaglians. Nella zona de la capital sono ritirati parecchi etarras facilmente riconoscibili che hanno base en la habana vieja. Amanti de las gallegas come me. Molti cubani hanno approfittato de la ley de los nietos che è tornata ancora in vigore. Riguardo le pretese di indipendenza catalane era ovvio che avrebbero dato marcha atras perchè i capitali si muovono con un clic e nel mondo del capitalismo sono quelli che comandano non le ideologie. Poi informandomi ho letto che se non fosse per madrid non potrebbero nemmeno mantenersi a livello di autonomia visto che si fanno finanziare direttamente da madrid perchè il loro rating è spazzatura, insomma tanto populismo senza molto fondamento. chao Enrico

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  6. Occhio che le imprese sono solo andate da un notaio per cambiare la sede legale.
    Non un ufficio è stato spostato per ora da Barcellona.

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  7. Niente articolo 155, per ora. Oggi Mariano Rajoy ha spiegato la decisione del consiglio dei ministri spagnolo sulla vicenda catalana il giorno dopo le parole di Puigdemont. Parlando direttamente a Puigdemont, ha chiesto di chiarire se ha effettivamente dichiarato l’indipendenza della Catalogna oppure no. «Dalla risposta del presidente della Generalitat dipenderà la risposta che adotterà il governo nei prossimi giorni». Insomma, la palla passa ancora una volta nel campo catalano.   
    «È urgente mettere fine alla situazione che si sta vivendo in Catalogna e che torni la stabilità e la tranquillità nel più breve tempo possibile. Serve procedere con prudenza e responsabilità», ha aggiunto il premier che questo pomeriggio sarà impegnato nel plenum del Parlamento.  

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  8. francesco olivo
    inviato a madrid

    «La dichiari o no questa indipendenza?». Il governo spagnolo chiede alla Generalitat di uscire dall’ambiguità del suo annuncio, ricco di circonlocuzioni, e poi immediatamente sospeso. Dalla risposta al quesito dipende la reazione dello Stato.



    Il presidente Carles Puigdemont ha tempo fino alle 10 del mattino di lunedì per inviare un chiarimento a Madrid («dev’essere un sì o un no stavolta» spiegano nella capitale). In caso affermativo, la scadenza si prolunga di altri tre giorni, entro i quali «la Generalitat dovrà rientrare nella legalità», detto con i termini burocratici, ma per una volta però assai chiari. Solo a quel punto scatteranno gli effetti, ancora tutti da decifrare, dell’articolo 155 della Costituzione che sospende parzialmente i poteri dell’autonomia regionale.



    Se martedì nella sua discussa orazione al parlamento di Barcellona Puigdemont aveva passato la palla all’avversario, «noi fermiamo la macchina ora cerchiamo una mediazione», ieri l’esecutivo Rajoy ha rimesso sulle spalle di Puigdemont tutta la pressione.



    Ad ascoltare il tono di Rajoy, nel suo intervento al Congresso dei deputati, la situazione non sembrerebbe nemmeno tanto grave: «Signor Puigdemont, mica c’è niente di male se lei torna indietro. Sono cose che capitano». Ma l’approccio «marianista» non cambia la realtà di una situazione che resta di massima tensione. La strategia del governo spagnolo per rispondere alla sfida della Generalitat, non ha lo spirito paternalista, ma per ora nemmeno quello marziale. L’ultimatum viene mandato a Barcellona per posta raccomandata, «in fondo è una domanda facile», ironizza Rajoy alla Camera «non si può non dire ai catalani una cosa così importante». Dalla Catalogna non arrivano risposte dirette, ma solo nuove proposte per una mediazione: «Dialogo senza pregiudiziali - dice Carles Puigdemont in un’intervista alla Cnn - da un lato del tavolo due membri del governo catalano, dall’altra due di quello spagnolo». Ma la formula, negoziati di fatto bilateriali, viene rifiutata con veemenza a Madrid: «Non possiamo infrangere la legge insieme», sintetizza Rajoy. Su twitter replica Puidgemont: chiediamo il dialogo e mettono sul tavolo l’articolo 155.



    Rimandare la scadenza dell’ultimatum a lunedì risponde a una doppia esigenza: capire a fondo come applicare una norma mai utilizzata e lasciare nel frattempo che emergano le contraddizioni nel campo avversario. Tra gli indipendentisti il morale non è alto. Sarà difficile un accordo fra Puidgemont e l’ultra sinistra della Cup. La sensazione è che lo sbocco sia lo scioglimento del parlamento con nuove elezioni catalane.



    La crisi catalana, seppur tra molti traumi, qualcosa muove nella politica spagnola. L’intensa giornata politica vissuta a Madrid, aperta da un consiglio dei ministri e chiusa da un dibattito parlamentare, consegna l’unità d’azione tra il Partito popolare del premier e i socialisti. Il leader del Psoe Pedro Sanchez annuncia: «Abbiamo ottenuto il via libera dal Pp per una commissione per la riforma della costituzione». La formula è più cervellotica (le commissioni in realtà sono due), ma il senso è uno scambio: il Psoe appoggia il governo nell’applicazione eventuale della sospensione dell’autonomia, e i popolari accettano di violare il loro tabù atavico, ripensando (non si sa ancora come) l’assetto territoriale. È la linea socialista: fermezza nella legge, ma riforma della Costituzione. Ma tra le novità non si può certo enumerare il referendum; la richiesta ormai decennale dei catalani (lo chiede più dell’80%) trova il solito muro: «É una cosa alla quale non bisogna neanche pensare» dice Rajoy.

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  9. ciao Milco, sono spagnole due agenzie specializzate in case e ville di lusso.
    Havaning e Lujocuba. Giulio

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