domenica 3 dicembre 2017

IL ROCK


Qualche giorno fa ho visto il film sul concerto tenuto a La Habana dagli Stones, avevo gia' visto l'altro film riguardante il trionfale tour della band ottuagenaria in America Latina.
Mi piacciono le cose che durano, siano gli Stones, i miei Villans che malgrado l'eta' del dattero continuano a giocare, o un vecchio utensile per la casa che serve sempre e mi ostino a non sostituire con uno nuovo.
C'e' qualcosa di magico, di poetico ma anche di rigoroso e perfetto nelle cose che durano nel tempo scavalcando i decenni.
Il film racconta le vicissitudini passate dagli organizzatori inglesi per riuscire a mettere su un concerto in un paese dove e' difficilissimo combattere con la burocrazia, dove devi portare tutto cio' che serve, prese di corrente e fusibili compresi.
Gli stessi problemi li ebbero prima gli organizzatori del concerto Paz sin fronteras e poi Zucchero che comunque, da sconosciuto a Cuba, porto' 60 mila persone ad ascoltarlo.
E' anche vero che questi eventi internazionali sono talmente rari....e gratuiti che la gente non aspetta altro.
Durante il film sul concerto avanero vecchi rocker cubani cinquantenni raccontavano di come, lustri prima, ascoltare la musica degli Stones non fosse consentito da parte del governo cubano.
Ammesso e non concesso che sia vero, ma e' probabile che lo sia, non e' certo una prerogativa del governo cubano, soltanto che Cuba, anche da questo punto di vista, e' indietro di qualche decennio.
Uno splendido film inglese di cui non ricordo il nome, narrava degli albori delle radio libere nel Regno Unito, di come il rock fosse una musica praticamente fuorilegge e di come, per poter trasmettere, una di queste radio si piazzo' su una nave ai confini delle acque territoriali britanniche.
Footlose e' un film americano degli anni ottanta, (hanno fatto un remake orrido qualche anno fa) che parla dell'America rurale, sudista e bacchettona degli anni 50.
In una di queste cittadine del sud, a causa dei baciapile cristiani ma non soltanto cattolici vigeva una morale per la quale il rock era davvero la musica del diavolo.
Tocco', come sempre, ai giovani sovvertire questo stato di cose.
Queste situazioni sono accadute davvero, Guccini se voleva cantare le sue canzoni in tv doveva cambiarne parzialmente il testo.
A meta' degli anni 80' mi recai prima in Ungheria poi nella DDR.
Entrare nel primo paese fu facile ma in DDR le cose erano piu' problematiche, se non ricordo male per il visto scomodammo addirittura Cossutta.
In Ungheria, anche se non proprio alla luce del sole, il Rock era ascoltato, c'erano perfino gruppi locali mentre in DDR tutto era un problema anche se i giovani ascoltavano le radio occidentali ad onde medie.
Come si fa ad impedire il Rock?
Il Rock non morira' mai perche' e' la piu' classica essenza di ogni forma di ribellione, fino a quando ci saranno 4 ragazzi un una cantina che suonano sognando di diventare star, il rock non morira' mai.
Certo, gli eccessi fanno parte del pacchetto, molto spesso il rock, non sempre a torto e' stato associato alla droga e a uno stile di vita non esattamente salubre.
I preti, i censori gli oscurantisti di ogni paese in questo contesto ci hanno inzuppato il pane, partendo dall'impedire il rock fino ad arrivare ad altre negazioni di liberta' ben piu' importanti e serie.
Non so se il rock a Cuba fosse off limits, ma se fosse vero andrebbe abolito seduta stante il reggeton visto che i testi, pur se edulcorati per infilarsi nelle maglie della censura cubana, richiamano a valori ben lontanti della Revolucion e da tutto cio' che questo rappresenta e ha rappresentato.
Personalmente non ho mai pensato che le canzoni debbano lanciare messaggi, ho sempre diffidato dei cantanti che si atteggiano a profeti.
Una canzone e' una canzone.
Pochi minuti di evasione dalla realta' quotidiana.
Non andrebbe mai censurata, si tratta comunque e sempre di una delle forme di arte piu' alte ed evolute.
Reggeton a parte.
P.S. Nella foto...lo scriba....da ragazzo, giovane bassista Rock.

16 commenti:

  1. Tutto nel calcio puo' succedere ma dopo il millesimo pareggio della stagione il mio Toro si avvia ad un altro campionato di mediocrita'.
    Ora non serve enumerare gli errori della societa' e dell'allenatore, ci sara' tempo per questo.
    Ora si tratta di portare avanti la baracca nel modo piu' dignitoso possibile sapendo che in Europa non ci vai ma neanche in B.
    Galleggiare senza glorie particolari.
    Cambiare allenatore?
    Il Milan con Gattuso ha cambiato qualcosa?
    Non mi pare.
    Puoi prendere un traghettatore fino a giugno ma a quel punto tanto vale tenere Sinisa e cambiare il prossimo anno.
    Tanto con Cairo il nostro trand e' questo.
    8/10 posto e lui che intasca 30/40 milioni ogni anno.
    Il resto sono solo chiacchiere.

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  2. La Russia senza grossi successi ha lanciato 2 vettori nello spazio.
    Non e' andata benissimo ma Putin ha detto che entro il 2030 ci sara' un astronauta russo sulla Luna.
    Sulla Luna....non su Marte e su Saturno.
    Cioe' occorreranno ancora oltre 10 anni di progressi tecnologici da parte di una grande potenza come la Russia per arrivare sulla luna.
    Voi volete dirmi che nel 1969 gli americani sono sbarcati davvero sul nostro satellite?
    Oltre 60 anni prima del 2030?
    Andate a rivedervi il film Capricorn One....

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  3. Ha fatto più danni alla Rivoluzione ed alla testa dei giovani cubani...il reggeton(con i suoi alti valori,come...puttane...soldi...macchinoni...) che 50 anni di propaganda anticastrista...!blanco79

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  4. Appena finirà la voglia da parte di band famose di fare concerti a Cuba pagando tutto questi concerti finiranno. Giuseppe

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  5. Santa Fè- I Rolling Stones hanno guadagnato dalla loro esibizione un sacco di soldini..con tutto il rispetto verso loro e la loro magica esibizione attendo qualcosa che amo molto di più o come B.Dylan, J.Baez, artisti che per i diritti civili e per altre battaglie meriterebbero quel grande palcoscenico, e a dirla tutta penso che se in quel palco Habanero andassero gratuitamente i Tazenda (anche senza il grande Parodi)farebbero il pienone ugualmente..

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  6. Mah....Dylan quello che doveva dire lo ha detto 40 anni fa e ora da 4 decenni manda in giro la sua controfigura scazzata...
    I tazenda li adoro ma...lasciamoli in Sardegna

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    1. Santa Fe- Per i Tazenda concordo(il mio era un esempio estremo) ma su Dylan assolutamente no..lui non vive di rendita,continua a viaggiare, suonare, schierarsi politicamente, sempreverde e introverso fino a scomparire per anni per poi riapparire in qualche teatro sperduto, però se non lo si ama non si può apprezzarlo fino in fondo..

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    2. Continua a suonare ma l'utlimo successo e' stato Hurricane...quanti anni sono passati?
      Ho visto video dei suoi concerti....arriva scazzato e sembra quasi che ti faccia un favore.
      Poi per carita' ha scritto qualche pezzo memorabile ma i tempi sono cambiati e lui e' rimasto la'...
      La Baez ha fatto militanza lui si e' limitato a....suonare.

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  7. Basta aver letto Life, la sua dettagliatissima autobiografia, per capire che Keith Richards non è certo un uomo che conduce una vita monastica. E allora dovrebbe stupire poco o nulla l’intervista rilasciata dal chitarrista dei Rolling Stones alla rivista musicale Mojo: “La mia giornata comincia, ancora prima di fare colazione, con una canna rigorosamente californiana”. “Sesso, droga e rock and roll” è un abusato cliché che nel caso di Richards, però, funziona alla perfezione. Ha provato ogni droga, lo ha sempre ammesso, molti dicono che fino a pochi anni fa, altro che cannabis al mattino, ma quella che lo stesso Keith chiamava la “colazione dei campioni” a base di eroina e cocaina. Ora, arrivato ai 72 anni, evidentemente ha scelto di fare un passo indietro, perché persino un fisico abituato a tutto come il suo non riesce più a sopportare quel ritmo.
    Ma la “rivelazione” sulla canna mattutina è parte di un discorso più ampio che il musicista ha fatto sulla legalizzazione della marijuana negli Stati Uniti: “Uno dei miei massimi piaceri è guardare le aree ‘verdi’ sulla cartina degli Usa”. Un ‘peccatore’ incorreggibile, Keith Richards, che se ne infischia del giudizio morale che ovviamente gli piomba addosso ogni volta che esterna le proprie abitudini “stupefacenti”. Di sicuro, il suo organismo non sembra risentirne più di tanto, a riprova che l’uomo possiede una tempra rara.

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  8. Santa Fe-Un ottimo veicolo pubblicitario per mandare al macero una larga scala di giovani che dal buco al braccio finirono e continuano a finire dentro la fossa.."l'amico"K.R. racconto', tra le tante stravaganze,di aversi fumato le ceneri del padre.

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    1. Per questa ragione dico che occorre staccare le canzoni da chi le canta.
      Battisti era un fascistoide simpatico come un gatto appeso ai maroni ma ha fatto la storia della nostra musica leggera.
      Freddy Mercury si inculava i ragazzini nei cessi della metropolitana ma che fenomeno vocale era....?

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  9. LA bandiera cubana brilla luminosa sul grande palco, Mick Jagger è l’ultimo a entrare in scena mentre le chitarre di Keith Richards e Ron Wood sferzano l’aria. “I was born in a crossfire hurricane” canta Jagger, la prima strofa di Jumpin’Jack Flash, e il boato del pubblico saluta le prime note con un entusiasmo alle stelle. Inizia così Havana Moon in Cuba (al cinema il 23 settembre), il film realizzato da Paul Dugdale il 25 marzo del 2016, il giorno in cui i Rolling Stones sono diventati il primo gruppo rock a esibirsi in un gigantesco concerto gratuito davanti a centinaia di migliaia di persone all’Avana, Cuba.
    Un concerto storico, avvenuto nella settimana in cui Barack Obama diventava il primo presidente degli Stati Uniti a visitare Cuba in ottantotto anni, testimoniato dalle immagini di Dugdale che mettono insieme le strade dell’Avana e le note degli Stones, i volti del pubblico che festeggia il rock’n’roll e uno squarcio di libertà. Un film che racconta un evento in cui la musica, come molte altre volte è accaduto nella storia, in quella del rock in particolare, è la chiave attraverso la quale si aprono porte che potrebbero non chiudersi più. Anche attraverso un evento in apparenza non politico come un concerto si può insomma finalmente incominciare a immaginare un futuro diverso per Cuba e in molti si augurano sia il segno definitivo di un cambiamento, qualcosa che segna un punto fermo.
    «Sognavamo da anni di poter suonare a Cuba ma era davvero un progetto impossibile», ci dice al telefono da Londra Mick Jagger. «Poi, quando i rapporti internazionali hanno inziato a cambiare, io e Keith ne abbiamo discusso di nuovo e abbiamo pensato che fosse giunto il momento di provarci davvero. Ma un conto è parlarne e un altro conto è decidere di andarci davvero. I problemi per realizzare un concerto degli Stones a Cuba erano molti. Altri prima di noi avevano già suonato sull’isola, ma quasi tutti in posti al chiuso o con un pubblico meno numeroso. Noi invece volevamo fare un grande concerto all’aperto. E per fare una cosa grande servivano molti soldi. Soprattutto per risolvere i vari problemi logistici, tipo come raggiungere l’isola con tutto il materiale. E poi volevamo che fosse gratuito, cosa ancora più difficile. Comunque, a un certo punto ci è sembrata la cosa giusta da fare e abbiamo semplicemente cominciato a ragionare su come poteva essere fatto. Ci abbiamo messo quasi un anno».
    Un lavoro estremamente complesso anche per “la più grande rock’n’roll band del mondo”?
    «Sì, avevamo lanciato parecchie palle in aria e nessuna doveva cadere per terra (ride, ndr). Avevamo bisogno di molto aiuto da parte di un mucchio di gente per portare a termine il progetto. Innanzitutto i costi: come fare a sostenere un’operazione che costa svariati milioni di dollari? E prima ancora dei costi siamo dovuti partire dal farci dare il permesso del governo cubano attraverso l’Istituto cubano della musica. Ma non bastava: molti della nostra crew sono americani, quindi avremmo avuto bisogno anche dell’aiuto del governo degli Stati Uniti. E poi ci serviva anche l’appoggio del governo e dell’ambasciata inglese a Cuba. Insomma sì, una faccenda decisamente complessa, anche per “la più grande rock’n’roll band del mondo”».

    Vuole dire che persino Sir Mick Jagger, oltre alla musica, ha dovuto impegnarsi perché tutto filasse liscio?
    «Esattamente, ma va detto che avevamo con con noi un ottimo team di persone in grado di risolvere ogni problema, soprattutto la nostra manager, Joyce Smith, e le persone della Aeg West. E comunque sono andato a Cuba diverse volte prima del concerto per cercare di capire bene la situazione e per poterla affrontare nel modo migliore. Ho incontrato un sacco di cubani, e molti stranieri che vivono o lavorano lì, e ho cercato di avere tutte le informazioni necessarie».

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  10. Ha incontrato anche Raul Castro, o Fidel?
    «No, ma mentre ero in vacanza ho incontrato una delle figlie di Raul».
    Di grandi concerti ne avete fatti moltissimi nella vostra carriera. Cosa aveva questo di veramente speciale?
    «È stato diverso da tutti gli altri. Lo so, sembra retorica, una frase fatta, ma può credermi. Pensavamo fosse giusto farlo. L’idea di fare un grande concerto all’Avana era troppo bella per essere messa da parte, soprattutto in un momento così importante per l’isola. E poi c’era il divertimento dei cubani, l’idea di fare una bella “night out of fun”, peraltro in un periodo pazzesco, con il Papa, Obama e gli Stones. Francamente, un’occasione da non perdere. Abbiamo suonato molte altre volte in Sudamerica, abbiamo suonato nei grandi stadi o comunque in spazi con pubblico a perdita d’occhio, ma ovunque abbiamo sempre dovuto affrontare un’organizzazione relativamente semplice. A Cuba invece non c’era nulla di pronto, abbiamo dovuto portare tutto noi da fuori: nessuno aveva mai organizzato un concerto simile. E poi non sapevamo nemmeno come avrebbe reagito il pubblico cubano, non avevamo neppure idea se conoscessero le nostre canzoni — la nostra musica è stata vietata a lungo sull’isola. Ma al di là di questo eravamo ambasciatori di una nuova realtà per i cubani, il concerto avrebbe avuto comunque un impatto politico e culturale. E poi arrivare, come ho detto, a pochi giorni di distanza dalla visita di Obama portava con sé molti significati. Primo fra tutti quello di inserire Cuba in un contesto internazionale, quello nordamericano, dal quale è stata per molto tempo esclusa. Insomma, non era solo rock’n’nroll. E lo sapevamo».
    La vostra visita avrà un impatto anche sulla vita dei cubani?
    «Lo sapremo solo sul lungo termine, per ora non sono in grado di rispondere a una domanda come questa. Ci vorrà tempo per capire se ci sarà una liberalizzazione, un ammorbidimento della dittatura: i regimi oppressivi non hanno mai tempi brevi».
    Come avete scelto la scaletta delle canzoni da suonare?
    «Non c’è stato un lavoro particolare, abbiamo proposto più o meno lo stesso repertorio che facciamo negli altri nostri concerti».
    Ma cantare Satisfaction a Cuba non è come cantarla a Londra. Cosa rende, a suo avviso, una canzone come Satisfaction ancora così contemporanea e così politica?
    «È una canzone che ha ancora un significato, se non lo avesse non piacerebbe ancora così tanto. Parla di una condizione in cui tutti, ancora, sfortunatamente, possono trovarsi: essere insoddisfatti. Ognuno ci può leggere la propria insoddisfazione. Di sicuro è una canzone che a Cuba può assumere un significato diverso. A Cuba la chiamano “la battaglia”, e per molti cantare Satisfaction è stato emozionante. Soprattutto per i più anziani, quelli che non hanno vissuto i grandi cambiamenti degli anni Sessanta nel mondo occidentale perché vivevano in un regime comunista oppressivo, non avevano il permesso di fare quello che volevano o di ascoltare la musica che volevano. Moltissimi sognavano di poter vedere un concerto come il nostro quando erano più giovani e non immaginavano sarebbe potuto accadere. Me ne sono reso conto parlando con alcuni di loro, erano davvero commossi, emozionati, è una cosa che mi ha colpito moltissimo. Ma, appunto, erano i più anziani a caricare tutto di un significato diverso, per i più giovani contava molto il divertimento, il fatto di poter passare una serata straordinaria, di poterla condividere con tanti altri».

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  11. Che cosa significa per lei la parola “libertà”?
    «È una parola molto abusata al giorno d’oggi. È ovvio che abbia significati molti diversi per me o per una persona che vive all’Avana. Ma sostanzialmente esprime lo stesso concetto: la possibilità di vivere dicendo quello che vuoi dire, facendo quello che vuoi fare, cantare, suonare, esprimersi, e avendo come unico limite la libertà altrui. Praticare la tua libertà finché questa non fa male a qualcunaltro, finché nel farlo non dai fastidio a troppa gente per troppo tempo. Con una regola semplice puoi avere una buona vita senza salire sui piedi degli altri. Certo, è un concetto di libertà che si applica al mondo occidentale, basato sull’idea della libertà individuale, una libertà che noi abbiamo conquistato con il tempo. Altre società oggi non ce l’hanno, perché si sono costituite su altri valori, società per le quali conta di più l’economia o la religione. Non bisogna dimenticare, però, che la nostra è stata una società difficile per molti secoli, a causa delle nostre religioni, dei nostri egoismi, delle nostre idee, abbiamo avuto dittature e orrori. Ma sappiamo che le cose cambieranno, come sono cambiate da noi, sappiamo che ci sono persone che aspirano alla libertà, magari non ai nostri modelli, ma a quelli che loro vorranno darsi».
    Ricorda il primo concerto che gli Stones fecero fuori dall’Inghilterra?
    «Certo che lo ricordo. Fu in Olanda, all’Aja. Riuscimmo a suonare poche canzoni, poi la folla che spingeva sotto al palco trasformò tutto in un grande casino».
    Le piace ancora fare concerti?
    «Sì, è una magnifica esperienza. E poi gli Stones sono fatti per suonare dal vivo, abbiamo sempre fatto concerti, è il nostro modo di andare avanti».
    È vero che il Vaticano vi ha scritto una lettera chiedendovi di non fare il concerto di Venerdì santo, o almeno di cominciare dopo la mezzanotte?
    «La verità è che sono stati in due a chiederci di cambiare data, Obama e il Vaticano. Nel primo caso l’arrivo del presidente ci ha spinti a scegliere la data del 25 marzo perché le difficoltà organizzative sarebbero state eccessive, nel secondo caso non avremmo potuto nuovamente cambiare la data, sarebbe stato tutto troppo complicato».
    Quindi cosa avete risposto?
    «Non volevamo di certo far dispiacere al Papa, ma abbiamo sottolineato che per molti cubani non era una festa religiosa e che in tutto il mondo si sarebbero svolte moltissime altre manifestazioni e concerti nel Venerdì santo. Avevamo un impegno e volevamo mantenerlo, così abbiamo fatto».
    Nessun confine, nessuna separazione, libertà e unità, cose che avete sempre sostenuto e cantato. Quindi, cosa pensa della Brexit?
    «Avremo grandi relazioni con tutti. Abbiamo sempre avuto un rapporto ottimo con gli italiani. Continueremo ad averlo».

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